Il consenso della paura

Domenica notte abbiamo assistito alla vittoria del PD con il 42% dei voti alle elezioni europee.
Era dall’epoca di del Fanfani II° (1958) che nessun partito arrivava ad un consenso così alto. Solo De Gasperi nel ’48 fece meglio (il 48% della DC). Insomma alla fine la balena bianca rinasce riveduta e corretta.
Quella della fine degli anni ’50 era un’altra Italia… l’Italia del Boom produttivo, edilizio, demografico. Era l’Italia dell’alleanza atlantica. Era l’epoca della costruzione del muro di Berlino. Era un altro mondo dove la immensa disponibilità di petrolio avrebbe portato la popolazione mondiale dai 2,5 miliardi del 1950 ai 7 miliardi di oggi. Era un mondo dove la speranza di un futuro migliore era palpabile e tutti pensavano che i propri figli avrebbero avuto migliori condizioni di vita rispetto a loro. Era L’Italia che ricordava l’orrore della guerra e lavorando se ne affrancava.
Oggi nel 2014 cosa è rimasto di quel mondo?
Forse niente.
L’industria arranca, le fabbriche chiudono, la disoccupazione aumenta; la popolazione è in decremento e i figli del baby boom sono ora pensionati o prossimi alla pensione (per chi l’avrà); l’edilizia è ferma e non si costruiscono più nuove abitazioni (effetto positivo della crisi).
L’era delle fonti fossili a basso costo è tramontata (ne avemmo un assaggio all’epoca della crisi del Kippur nel ’73… l’austerity delle domeniche a piedi) e lo “sviluppo” impetuoso di quegli anni è terminato.
La guerra la ricordano solo i vecchi o coloro che l’hanno “vissuta” nel racconto dei genitori o dei nonni.
Insomma è un mondo completamente diverso. Come spiegarsi allora un risultato simile in termini percentuali (con tutte le differenze dovute all’elezione tra il parlamento italiano e quello europeo ed ad un affluenza del 55% contro quella del 93% del ’58) a quello della DC del 1953?
Credo che , forse, come allora la paura ha vinto. Allora era la paura della contrapposizione est/ovest. Oggi la paura di cambiare radicalmente.
La nostra proposta politica era ed è quella di una trasformazione radicale di un sistema bloccato, incentrato sull’esercizio e la gestione del potere, sulla finanza che domina sull’Uomo, imperniato sulla sottrazione del potere dai cittadini alle oligarchie (spesso nominate dalla politica).
Noi non vogliamo far esplodere in maniera disordinata la struttura vogliamo smontarla e rimontarla in modo che funzioni bene. Vogliamo immettere dosi massicce di democrazia diretta in un sistema rappresentativo. Vogliamo un potere esecutivo che sia meno “dominatore” sul potere legislativo. Vogliamo un nuovo piano industriale dove non si producano più male beni obsoleti ma si producano bene (alta tecnologia, basso uso di energia e risorse, basso impatto ambientale nel ciclo di vita) cose nuove e che servono. Solo con un nuovo piano industriale si potrà incrementare il numero degli occupati e dare una svolta al Paese. Vogliamo le infrastrutture che servono nella competizione globale e la manutenzione ed il ripristino di quelle esistenti e non il fare opere solo per “smuovere l’economia”.
Insomma la nostra proposta è strutturale e diversa. Prevede una ridistribuzione della ricchezza dal vecchio sistema di quelli che ai tempi di Alitalia furono definiti i “capitani coraggiosi” a nuovi players che si affermino con le loro idee e che sappiano pensare ad un futuro diverso. Prevede una redistribuzione del reddito da chi ha (da chi ha oltretutto sempre avuto) a chi non ha (e forse non ha mai avuto).
E’ questa un’ idea che spaventa?
Io non credo.
Forse non siamo riusciti a far comprendere che la vera speranza siamo noi. Quelli che, con tutti i loro limiti, credono fortemente in un mondo nuovo fatto di rispetto e non di sopraffazione, di visione prospettica lunga e non quella miope del “risultato elettorale”, quella di chi lotta per rimettere al centro la verità rispetto alla contraddizione di chi dice una cosa e ne fa un’altra.
Noi ci siamo e continueremo a lavorare per dimostrare le nostre capacità, la nostra volontà, la nostra abnegazione.
Il Mahatma il 12 marzo 1930 iniziò una marcia per protestare contro la tassa che il regime aveva messo sul sale e percorse 380 km.
Siamo lungo la strada… la marcia prosegue.